Le radici: il punto di partenza necessario per analizzare la musica di Maurice Ohana è tutto racchiuso in questo termine. Mai come in questo caso, la sintesi di un suono unico, sottile quanto esplosivo, leggero quanto penetrante, è frutto delle esperienze vissute, dei viaggi e delle amicizie intraprese.
Appare doveroso, quindi, raccontare gli spunti biografici più significativi, esaminare a fondo un archivio molte volte tenuto ai margini dagli addetti ai lavori, affinché venga messa in luce quella relazione così speciale che lega il compositore francese alla chitarra.
Maurice Ohana nasce nel 1913 a Casablanca. Cresciuto in una famiglia benestante, si avvicina alla musica fin da subito; cante jondo, flamenco (la famiglia di suo padre ha origini andaluse), jazz, canto gregoriano, musica africana e impressionismo francese sono una parte degli ascolti che descriveranno il grande equilibrio di suoni presente in seguito nella sua musica. Nonostante risulti particolarmente difficile risalire al suo albero genealogico, Maurice Ohana è un cittadino francese, a Parigi studia e forma la sua carriera artistica. Il suo interesse per il folclore spagnolo lo porta ad esibirsi tra il ‘36 e il ‘38 con la bailaora La Argentinita ed il celebre Ramón Montoya, dal quale apprende tutte le tecniche della chitarra flamenca. Il trio si esibisce in diverse capitali europee, tra cui Parigi e Londra.
Il binomio tradizione/innovazione è lo scopo delle sue ricerche che lo accompagnano nei viaggi in Africa, Grecia e Italia (in cui conoscerà anche Alfredo Casella e ne diventerà grande amico), intrapresi dopo il suo arruolamento nell’esercito inglese nel 1943. La visita in Andalusia gli consente di studiare a fondo la cultura gitana, il cante e il baile. Nel pieno della giovinezza, diventa un pianista conosciuto nella capitale francese, si avvicina al serialismo e fonda Le groupe musical Le zodiaque, progetto che affianca l’avanguardia al movimento politico anti-dittatoriale del dopoguerra. Con lui vi sono Alain Bermat, Pierre de la Foreste-Divonne e Stanislaw Skrowaczewski. Ai programmi da concerto proposti vengono aggiunte spesso alcune composizioni del giovane pianista e quest’esperienza segna un capitolo importante nel suo percorso artistico.
Quando comincia a dedicare più tempo alla scrittura, Maurice Ohana trova nella chitarra il mezzo ideale per sviluppare le sue idee. Sarà un futuro pieno di soddisfazioni, ma anche di rifiuti e mancate esecuzioni. La prima delusione arriva nel 1950, quando conosce un giovane chitarrista uruguaiano, Abel Carlevaro, con il quale lavora per un lungo periodo. Maurice Ohana ha in mente di scrivere un Concerto per chitarra e orchestra: dopo una prima fase di collaborazione, il 28 aprile 1950 Carlevaro esegue in anteprima la riduzione per piano e chitarra del secondo movimento. Nello stesso periodo, però, l’interprete sudamericano riceve la notizia del mancato rinnovo della borsa di studio da parte dell’ambasciata uruguaiana. Per motivi economici è dunque costretto a spostarsi a Barcellona. Dopo scambi di lettere e tentativi volti a trovare un punto di incontro, viste le difficoltà dovute alla distanza, entrambi gli artisti sono costretti ad abbandonare il progetto. Malgrado l’accaduto, Ohana continua a scrivere e non si ferma: nel 1955 collabora con un altro chitarrista, Ramón Cueto, il quale esegue nel dicembre 1957 la première del Tiento (considerato all’apice dei suoi lavori) presso l’École Normale di Parigi. Il brano possiede quel tessuto sonoro che definirà la sua estetica per il resto della sua carriera. Il carattere della danza, spinto dalla ritmica del compás flamenco, asseconda il melisma del cante jondo e della libera forma orale tradotta sulla chitarra. La sua musica è retta da una sorta di stabilità precaria, che unisce la semplice melodia alla polifonia della danza, senza sminuire lo strumento in nessuno momento. Il Tiento stabilisce il sodalizio con la chitarra, è il biglietto da visita che descrive in modo perfetto la direzione che Ohana intende assumere.
È proprio in questo periodo di ricerca che torna a lavorare sul concerto per chitarra e orchestra. Fiducioso del lavoro svolto, scrive a Andrés Segovia, mostrandogli il progetto. Il leggendario chitarrista di Linares crede che la composizione sia “divertente”, ma non esprime nessuna ammirazione, né particolare entusiasmo. Niente di tutto quello che Ohana si aspettava. È l’incontro con Narciso Yepes che stravolge la vicenda. Il chitarrista si innamora della sua musica fin da subito: dalla collaborazione tra i due artisti nascono i Trois Graphiques pour guitare et orchestre. Farruca, Siguiriya, Bulería e Tiento alternano il proprio schema metrico alla libertà delle melodie lente. Il concerto è un sovrapporsi di unisoni, improvvisazioni scritte e stretti cambi di tempo, in cui la componente ritmica dell’orchestra (ben quattro percussionisti) ne fa da padrona. Dell’idea principale non rimane neanche il secondo movimento presentato anni prima da Carlevaro, trasformato in una Sarabanda per clavicembalo e orchestra nel 1950. Ohana, però, non è ancora soddisfatto del risultato raggiunto: oltre alla scrittura si dedica allo studio dell’acustica e riconosce nella chitarra uno strumento limitato rispetto alle richieste della sua musica. Capisce che la svolta si può ottenere solo attraverso uno strumento nuovo: da qui nasce l’idea della chitarra a dieci corde e che trova in Narciso Yepes l’interprete adatto. È il chitarrista spagnolo che, nonostante le autorevoli critiche che Segovia, Lagoya e Friederich rivolgono allo strumento e gli ostacoli tecnici esposti da José Ramírez, riesce ad ottenere dalla nipote Amalia e dal liutaio Paulino Barnabé un prototipo della chitarra a dieci corde.
Quello che attrae dello strumento, soprattutto, è la capacità di generare risonanze che danno vita ad un vero e proprio suono “sotterraneo”. Frutto della ricerca è l’aggiunta di quattro corde che seguono il Mi grave: Do, Sib, Lab e Solb. Questo studio traccia un nuovo capitolo alla sua carriera.
I Trois Graphiques vengono così eseguiti per la prima volta il 20 novembre 1961 dalla London Symphony Orchestra diretta da Anthony Bernard e trasmessi dal terzo canale radiofonico della BBC. La seconda esecuzione avviene nel ’62 a Strasburgo, di fronte ad un pubblico entusiasta. Avviene il contrario in Spagna, in cui gli spettatori accolgono il concerto in modo freddo e distaccato, dato che ci aiuta a capire come Segovia immaginasse le sensazioni dell’ascoltatore medio. Ohana continua ad avere enormi difficoltà sul piano comunicativo tutte le volte in cui presenta la sua musica al mondo della chitarra. La casa editrice Jobert, a cui è molto legato, rifiuta addirittura di pubblicare i suoi lavori, in quanto l’amministratrice dell’azienda prova una particolare antipatia per le sei corde. Tutto il materiale per chitarra viene pubblicato solo in seguito, dalle edizioni Billaudot. Avvicinarsi ad una realtà popolare così sentita e trasformarne i contenuti chiave, è considerato da sempre un atto molto rischioso e che Ohana pare disposto ad affrontare pur di portare avanti le proprie idee, nonostante tutte le difficoltà dettate dal momento.
La svolta impressionista tra il ’62 e il ’64 lo induce a scrivere Si le jour parait…, una suite di sette movimenti, ispirata ai capricci di Goya (Si amacene, nos vamos…) e che descrive quanto di mistico e poetico potesse ancora aver bisogno l’opera di Maurice Ohana. L’ispirazione musicale la ottiene da Debussy, della cui musica conosce tutti i dettagli. L’esposizione di armonie nuove, ritmi serrati, scale esatonali e melodie elaborate per quarti di tono segnano la tappa del nuovo percorso che il compositore francese sta intraprendendo, molto più introspettivo, che si concentra sul lato oscuro del suono, quasi impercettibile.
Sul piano tecnico, in questo lavoro Ohana affronta il tema della variazione, non intesa come composizione schematica, ma come trasformazione di figure ben precise, che mutano il proprio ruolo con l’evolversi del brano. Ogni pezzo della suite analizza il ciclo della vita, dal fattore temporale (Aube), alla natura (Jeu des quatre vents), dal legame tra realtà e mitologia (La chevelure de Bérénice, Enueg) al saldo rapporto che unisce l’uomo alle proprie origini (Temple, Maya – Marsya). Mentre tutti i brani sembrano coesi e uniti da un filo concettuale ben preciso, al centro della suite qualsiasi richiamo alla mitologia viene interrotto da 20 Avril (Planh), lavoro scritto in memoria di Julián Grimau García, comunista madrileno fucilato il 20 aprile 1963 dalla Guardia Civil franchista. Il brano raccoglie tutta la rabbia del momento, con i rasgueados e le dissonanze Maurice Ohana vuole rappresentare la crudeltà della dittatura fascista. 20 Avril (Planh) è anche l’unico brano che può essere eseguito con una chitarra a 6 corde; sembra quasi un gesto ideato a voler mettere a nudo lo strumento e renderlo inerme di fronte ad un atto così spregevole. La suite viene eseguita per la prima volta da Alberto Ponce, chitarrista spagnolo residente a Parigi, il 25 giugno del 1974.
Tra il 19 dicembre ed il 13 gennaio 1981 Maurice Ohana scrive il secondo ciclo per chitarra a dieci corde, Cadran Lunaire. Il suo dedicatario, Luis Martín Diego, esegue la suite il 9 dicembre 1982 a Roma, grazie al supporto dell’Academia de Bellas Artes presente nella capitale italiana. I quattro brani seguono la falsariga di Si le jour parait e rivelano una scrittura verticale, una polifonia più immediata, ricca di dissonanze e impetuosi contrasti dinamici.
Il primo libro dei Douze études d’interprétation per piano (1982) è il segno tangibile della svolta sonora che sta assumendo la sua musica. È come se Ohana cercasse di analizzare gli stessi suoni d’origine che hanno definito le sue ricerche, ma percorrendo una strada diversa. La necessità di ritornare alle caratteristiche del cante jondo esalta la componente ritmica, trasforma il tempo in forma libera e facilita l’andamento della polifonia: questo spiega la continua omissione delle battute in diversi momenti della suite. Come in Candil, in cui viene esposto un dialogo tra due voci senza riferimenti ritmici e strutturato in due pentagrammi, quasi a volerne sancire un’ulteriore libertà. Il risultato finale tende ad ottenere un melisma che possa avvicinarsi al linguaggio moderno mantenendo la forma orale che la tradizione gitana ha tramandato per secoli.
La necessità di ritornare a lavorare sul suono di matrice popolare, sembra quasi voler creare un filo che lega la sua maturità artistica alle sue origini andaluse, mai chiarite fino in fondo.
Quella del compositore francese è stata un’identità in continuo movimento, che lo ha spinto a prendere le distanze ogni qualvolta la sua idea cominciasse ad essere unidirezionale. Nell’ultimo periodo della sua carriera, Ohana cede idealmente la sua arte alla musica, affidando la propria immagine alla figura del mito: vuole diventare un compositore “anonimo”. Sono queste le ragioni che porteranno a riservare le sue ultime attenzioni alla chitarra, dedicando al duo Horreaux/Théhard il suo lavoro per due chitarre a sei corde, Anonyme XXème Siècle, scritto ed eseguito tra il 1988 ed il 1989.
Se volessimo analizzare ogni brano che ha caratterizzato l’estetica di Maurice Ohana, capiremmo che il suo passato riflette nella sua arte. Le influenze del Novecento “scivolano” sulla sua musica, ma invece di destabilizzarla, ne confermano l’autenticità: Maurice Ohana ha saputo prender spunto dal moderno senza abbandonarsi al serialismo, ha fatto sua la forza della tradizione senza fermarsi alle semplici melodie popolari. Con la stessa creatività ha dato vita a scenari sonori del tutto inediti sulla chitarra. Proprio per questo, l’interesse dell’interprete non può limitarsi a una piccola parte dell’imponente catalogo che il compositore francese ha lasciato alla chitarra, bensì deve sancire il punto di rottura che abbandoni le convenzioni e si avvicini ad un repertorio dal valore inestimabile.
Si ringraziano Stéphane Sacchi, Corinne Monceau, l’associazione Les Amis de Maurice Ohana e Dominique Souse per aver gentilmente fornito le informazioni e le immagini presenti nell’articolo.
Uscito originariamente su Guitart n.100