Alberto Carretero (*1985) è un compositore sevillano poliedrico e interessato a tanti aspetti del Contemporaneo, musicali e non solo. Insegnante di composizione musicale elettroacustica al Conservatorio Superior de Música “Manuel Castillo” di Sevilla, ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Caja Madrid – “Andaluces del Futuro”, il Premio di composizione di Musica Contemporanea “Injuve”, il Premio “Real Maestranza” il secondo Premio de Composición orquestal “Antón García Abril” (Madrid), il Premio “Jóvenes Compositores” indetto da Plural Ensemble, il Premio “Ciudad de Sevilla” e il Premio Sevilla Joven de la Consejería de la Presidencia de la Junta de Andalucía.
Con un linguaggio musicale costantemente rivolto alla mimesi e alla contaminazione storica, Alberto Carretero trae spesso spunto dall’arcaismo per rielaborare il materiale in maniera estremamente personale e nuova.
Alberto, grazie per aver accettato la nostra proposta. Il tuo percorso di studi è molto eclettico: musica, ingegneria, giornalismo. Come si coniugano questi percorsi diversi e cosa ti ha portato a scegliere la composizione?
Innanzitutto, vi ringrazio per questa iniziativa di avvicinamento agli attuali compositori per chitarra e per il vostro lavoro di diffusione della creazione contemporanea.
In virtù della mia immensa curiosità per i diversi campi del sapere, la mia formazione è poliedrica. La musica, sempre al centro, mi collega all’interesse per la scienza, la tecnologia, le arti, le scienze umane e sociali. In realtà, credo che tutti questi ambiti convergano molto più di quanto si pensi: sono visioni da diverse angolazioni dell’essere umano e credo che si alimentino continuamente a vicenda. Attraverso la composizione musicale, cerco di riunirle tutte dal mio punto di vista personale, per sintetizzare nuove conoscenze e forme di espressione, partendo da diversi stimoli creativi.
Rispetto all’inizio della tua attività di compositore, ti sei avvicinato alla chitarra solo nel 2015. Il tuo primo prezzo, Oud, presenta una chitarra con una vistosa scordatura, che richiama, come il titolo stesso, a un profondo legame con la cultura araba. Ce ne vuoi parlare?
Durante il periodo in cui ero studente al conservatorio ho scritto altri pezzi che incorporavano la chitarra, ma il primo lavoro in cui mi sono addentrato profondamente nello strumento è stato Oud, grazie alla collaborazione con Pedro Rojas-Ogáyar, membro degli Ocnos, che lo ha registrato nel suo CD Excepciones, pubblicato dall’etichetta discografica “La Mà de Guido”.
Come in altri progetti successivi in cui ho composto per chitarra, cerco di “re-immaginare” lo strumento, pensando a “ibridazioni” con altri strumenti della sua famiglia, sia di altre culture che arcaici. In questo caso, il patrimonio musicale e culturale arabo è stato fonte di ispirazione per la creazione di questo nuovo brano. Da un punto di vista organologico, mi interessava riflettere sul suono dell’oud, un liuto arabo che compare in varie tradizioni mediterranee e orientali. In esso ho cercato un suono di chitarra profumato di musica andalusa, che non pretende di essere un’imitazione rigorosa, ma piuttosto un’evocazione sotto forma di un “oud immaginario”, o anche di una “chitarra immaginaria” che, il più delle volte, conduce il colore tipico dello strumento verso altri timbri e tessiture.
La concezione delle linee è molto vicina a quelle della voce umana, con i suoi melismi e le sue articolazioni. Inoltre, ho alterato l’accordatura abituale dello strumento, attraverso una scordatura, che porta la corda più bassa al “Do”, per avvicinarmi un po’ di più al suono dell’oud ed esplorare sia il registro basso che le risonanze armoniche delle quinte. Un altro elemento chiave del mio lavoro è stato l’ornamento e la creazione di una drammaturgia musicale a partire dal confronto di questi ornamenti, dando luogo a metamorfosi o ibridazioni del materiale stesso, quando le linee di forza coincidono in direzioni diverse, con intensità diverse. Questo mi ha permesso di creare un flusso musicale quasi a cerchi concentrici, che mantiene la sua energia grazie a questa opposizione.
L’opera è scritta con l’indicazione di “Tempo rubato”, che dà l’idea dell’approccio interpretativo che dovrebbe assomigliare alla musica improvvisata in termini di lassità ritmica e temporale. I primi suoni che si ascoltano sono multifonici, ottenuti come “falsi armonici” collocati in posizioni non convenzionali sulle corde della chitarra, che producono diversi suoni simultanei e un timbro molto caratteristico, vicino a quello di una campana in termini di indeterminatezza dell’altezza fondamentale. Questo primo materiale dell’opera ha un carattere statico, che in qualche modo “tenta” lo strumento, cambiando leggermente colore e andamento ritmico.
Da alcune note che emergono in questi multifonici, viene introdotto un secondo materiale dinamico, tremolante e che cambia tonalità mediante l’uso del glissando. Questi primi due materiali iniziano progressivamente la loro interazione e mutazione verso sonorità microtonali e orientali che conservano le caratteristiche di quelli di partenza, ma che iniziano a curvarsi e trasformarsi grazie all’uso di uno slide.
Mi piace chiamare questa tecnica, in modo suggestivo, “dito liquido”, perché mi permette di “liquefare” il suono solido, diviso in altezze secondo i tasti della chitarra, e di ottenere tessiture “fluide” che coprono il totale delle altezze. Infatti, per creare questa idea di “oud immaginario”, ho deciso di riservare per tutto il brano un dito della mano sinistra del chitarrista a questo scopo, in modo che ci fosse sempre la possibilità di lavorare questo spazio microtonale senza dover apportare modifiche o interrompere la continuità del brano, cosa che per me era essenziale.
Dopo la prima sezione, in cui sono stati introdotti i due materiali di base, lo slide e i primi “arabeschi” sotto forma di piccole melodie molto ornate e timbricamente elaborate, compare una seconda sezione di carattere più materico, in cui si gioca con la materia delle corde, lavorando sul timbro dei colpi prodotti dalle dita quando vengono pizzicate e su quelli generati dallo slide quando vi trilla sopra. Questa sezione appare “tassellata” come un mosaico, con motivi provenienti dalla sezione precedente e alcune nuove ornamentazioni che ricamano brevissime melodie di natura quasi vocale, che ricordano l’arte islamica.
Una terza sezione si apre come estensione della precedente, introducendo suoni di legno, oltre a distorsioni e rumori sulle corde, che vengono nuovamente “tassellate” con i materiali precedenti. Un nuovo materiale nascosto appare nel registro molto acuto, toccando le corde della chitarra nella zona della cassa, una parte dello strumento che normalmente non viene utilizzata nell’interpretazione, ma alla quale ho voluto dare un significato simbolico ed estremamente speciale. Queste piccole “gocce”, che all’inizio sembrano quasi impercettibili, si rivelano progressivamente, emergendo da una tessitura di grande densità. In questa sezione c’è un tratteggio frenetico del materiale, con livelli crescenti di attività e suoni percussivi che battono sulla bocca dello strumento.
Infine, appare l’ultima sezione, spogliata del materiale presentato in precedenza, che si muove tra improvvisazione e fissazione, con grandi livelli di ornamentazione e curvatura, sostenuti dall’uso della microtonalità fornita dallo slide. I “suoni-goccia”, che erano emersi dalla sezione precedente, sono ora l’unico materiale suonato dal chitarrista, che pone lo strumento tra le gambe come se fosse un violoncello. Questo modo di suonare la chitarra nasconde un’intenzione “scenica” e formale in termini di cambio di paradigma, oltre a facilitare l’interpretazione con due o più dita sui pezzi di corda che si collegano ai pioli e permette di confondere i suoni con lo slide, creando un’atmosfera onirica che riconduce al silenzio.
Il sodalizio con Pedro Rojas-Ogáyar prosegue con Epitafio de Don Quijote: la chitarra si affianca al flauto, clarinetto, soprano e attore. Vuoi parlarci in maniera più approfondita di questo brano?
Un anno dopo, ho lavorato a un nuovo progetto di musica da camera per chitarra con Pedro e Ocnos “Epitafio de Don Quijote”. In questo caso si tratta quasi di una scena d’opera da camera, in cui viene drammatizzato il noto testo di Cervantes, corrispondente all’iscrizione sulla tomba immaginaria di Don Chisciotte. Mi interessava l’idea di un epitaffio fittizio che fungesse da risonanza della vita di un eroe, o meglio “antieroe”, come Don Chisciotte. Ho composto questo pezzo come un teatro musicale, usando gli strumenti e in particolare la chitarra, come se fossero la “scenografia sonora” del pezzo, creando atmosfere e materiali che rimandassero a ombre e ceneri, come i resti di un grande castello in aria trasformato in macerie. Sia la chitarra che il clarinetto basso sono preparati con materiali diversi come acqua, tubi, pezzi di plastica e metallo. C’è anche una citazione del pezzo Mille Regretz (Canzone dell’imperatore) di Luis de Narváez, uno dei brani chiave della storia della musica, risalente all’epoca del Don Chisciotte, e strettamente legato alla vihuela spagnola, antenata della chitarra.
Quali sono stati gli accorgimenti di scrittura nel trattare la chitarra come uno strumento cameristico rispetto al repertorio solistico?
Il lavoro di orchestrazione è una grande sfida alla ricerca di un equilibrio con il resto del gruppo. D’altra parte, è anche affascinante cercare convergenze e divergenze tra la chitarra e altri strumenti e voci. Trovo particolarmente stimolante avvicinarmi a sonorità che ricordano ad altre fonti sonore attraverso la chitarra e viceversa.
Sei tornato a scrivere per chitarra nel 2022, questa volta per la chitarrista slovena Klara Tomljanovič. Con Phorminx avete visto davvero lo strumento: accordo, preparazione, fischietti, bacchette e un carillon sulla chitarra! Da dove nasce tutto questo?
Prima di Phórminx sono tornato alla chitarra nel 2020 con un pezzo per il duo Santorsa-Pereyra, intitolato Flow my tears. In questo lavoro evoco l’universo rinascimentale, in particolare degli strumenti a corde pizzicate di questo periodo. Ispirato all’omonima ayre del compositore inglese John Dowland, il brano è concepito come un lamento in cui risuonano i colori pallidi del liuto rinascimentale, basato su un’architettura di polifonia timbrica con echi, luci e ombre.
Tuttavia, per non allontanarmi troppo dalla questione, mi soffermerò ora su Phórminx, brano commissionato dalla Siemens Stiftung attraverso l’eccezionale chitarrista slovena Klara Tomljanovič. Questa è stata un’opportunità creativa speciale grazie alla sua particolare sensibilità per la musica contemporanea. Klara ha una visione assolutamente arricchente e intelligente della musica contemporanea. Questo permette di combinare un’interpretazione precisa e virtuosa, con un’espressività e una presenza scenica nuova e fresca. In questo modo, Klara Tomljanovič crea una connessione molto speciale tra l’interprete, il pubblico e il compositore.
Il phórminx è una lira omerica molto diffusa nelle antiche culture mediterranee. Ha un significato particolare nella civiltà di Tartesso, considerata dai Greci come la prima civiltà dell’Occidente. Si stabilì nel sud della penisola iberica intorno al fiume Guadalquivir, in quella che oggi è la regione spagnola dell’Andalusia.
Da un punto di vista estetico, ho sentito il bisogno di creare questo pezzo a causa del mio impegno personale con il concetto di “radicalismo”, che è estremamente interessante per me. Cosa significa “radicale” per il compositore di oggi? Lontano dai fondamentalismi politici, la parola deriva dal latino radicalis e significa “relativo alla radice”. Questo concetto mi interessa per il rapporto che ho con le mie radici culturali iberiche più profonde, per creare un universo musicale nuovo e personale. Ovvero, come il Primitivo o Ancestrale possa servire da terreno fertile per proporre qualcosa di originale che si proietti nel presente e nel futuro. Questo argomento è uno dei temi principali della mia produzione, come appare ad esempio nel mio precedente brano Oud.
I suoni di questo antico strumento sono a metà strada tra la lira e la cetra. Posso immaginare di creare un phórminx immaginario attraverso la chitarra. Più che di una ricostruzione rigorosa, si tratta di un approccio personale alla chitarra attraverso una reminiscenza del phórminx, in cui i colori e le tessiture timbriche giocano un ruolo molto importante. È un lavoro compositivo basato su una libera interpretazione dell’archeologia musicale.
A tal fine, sullo strumento vengono effettuate alcune preparazioni che ne modificano il comportamento acustico, come Blu-Tack / Patafix, un carillon, bacchette, un e-gong e un pitch pipe, oggetti fatti di materiali diversi che creano un nuovo universo musicale. Inoltre, si cerca di modificare l’accordatura abituale dello strumento per ottenere un approccio ai sistemi non temperati utilizzati negli antichi sistemi modali e vocali. Fondamentali sono anche i diversi tipi di ornamentazione e il lavoro con la sua risonanza.
La concezione delle linee si avvicina molto alla voce umana con i suoi melismi e le sue articolazioni. Infatti, il phórminx serviva da accompagnamento ai rapsodi, cioè ai recitanti che cantavano i poemi omerici o altri poemi epici. Gli elementi chiave sono le decorazioni che, attraverso i loro diversi tipi e livelli, rappresentano una drammaturgia musicale. Questo porta a metamorfosi o ibridazioni del materiale stesso, quando le linee di forza convergono in direzioni diverse con intensità differenti. Così, gesti musicali minimi creano una corrente musicale quasi spiraliforme che espande la sua energia, grazie al confronto con altri elementi, che coesistono nello spazio e nel tempo della sua composizione.
Nonostante ti occupi da diversi anni di musica elettronica, nei tuoi pezzi per chitarra non ci sono né live electronics né tape.
Questo è davvero un campo che vorrei esplorare con la chitarra, o meglio con “le chitarre”, in futuro. Penso che ci sia un enorme potenziale e mi piacerebbe contribuire al repertorio di questa formazione, anche in qualche progetto multimediale più ampio. Spero che nei prossimi anni questa opportunità si presenti e non vedo l’ora.
Ti avvicini alla chitarra elettrica nel 2020, con un brano di 40’’ per il progetto KlangRoom di Azione_Improvvisa Ensemble. Quali sono state, se ci sono, le differenze nell’approcciare i due strumenti?
Il pezzo intitolato Music 1 – COVID 0 con chitarra elettrica, scritto per Azione_Improvvisa – ensemble italiano che ammiro molto – è stato un lavoro molto speciale, composto in un periodo molto turbolento e difficile per la creazione musicale, e per tutti gli altri aspetti della vita. Faceva parte del progetto KlangRoom sviluppato durante la pandemia e ha rappresentato una boccata d’aria fresca e di speranza per il futuro, per mezzo della musica e della sperimentazione, alla ricerca di una finestra sonora condivisa. Lavorare con la chitarra elettrica è stato davvero entusiasmante, poiché la palette di colori di questo strumento e le sue possibilità elettroniche “native” mi attraggono molto e sono diverse da quelle della chitarra classica, rendendolo un nuovo territorio da esplorare. In effetti, devo confessare che mi è rimasta la voglia di continuare a lavorare sulla chitarra elettrica e sulle possibili combinazioni con gli straordinari musicisti dell’ensemble Azione Improvvisa. Spero che questo breve brano sia il seme di future collaborazioni con questo gruppo, e che le idee che già abbiamo per un futuro non troppo lontano, diventino presto realtà.