
Introduzione
Il XX secolo fu un periodo in cui la chitarra funzionò come terreno di ricerca per risorse tecniche ed espressive, in linea con le correnti estetiche che concentrarono il loro interesse sul rinnovamento della scrittura musicale. In un momento di profonde trasformazioni, in cui l’esplorazione formale veniva proposta essenzialmente a livello del sistema compositivo, questo strumento permise l’invenzione di strategie ottimizzate da parte dell’interprete. In tale contesto, il repertorio chitarristico contribuisce a riformulare le problematiche strumentali.
Una figura importante di questo periodo fu Stefano Scodanibbio (1956-2012), contrabbassista, compositore e promotore della musica contemporanea. Sebbene il suo lascito più noto sia legato all’esecuzione di opere paradigmatiche del repertorio per contrabbasso, il suo contributo come compositore lascia tracce altrettanto indelebili nella storia del secolo scorso. La sua opera incarna l’esplorazione e la ridefinizione del paradigma sonoro a partire dal piano strumentale. In tale processo, la chitarra occupa un posto privilegiato. Nelle riflessioni che sono state fatte intorno ai cambiamenti estetici avvenuti tra il XX e il XXI secolo, le particolarità del repertorio chitarristico di Scodanibbio hanno trovato poco spazio. L’obiettivo principale del seguente testo consiste nell’esaminare i nuclei della poetica che Scodanibbio ha sviluppato nelle sue opere per chitarra. Parte del racconto qui esposto è stato ricostruito grazie alle preziose testimonianze di personalità vicine al compositore, tra cui Federico Bañuelos, Elena Casoli, Maurizio Pisati e Magnus Andersson.
Il virtuosismo che emerge dalla poetica di Stefano Scodanibbio si inserisce nella ricerca di rinnovamento delle pratiche musicali e si esprime attraverso strategie che si articolano intorno a tre centri gravitazionali: (i) la riconfigurazione dell’immagine dell’artista che concilia pratica compositiva e interpretativa integrandola in un terreno simbolico più ampio di quello del virtuoso, (ii) la ricerca di innovazione del linguaggio musicale per via strumentale che integra elementi della tradizione e (iii) il progetto compositivo basato sull’uso dell’improvvisazione in quanto procedimento di formalizzazione.
I. L’immagine dell’artista
“Che cosa resta e che cosa si perde di una vita?”. È questa la domanda formulata dal filosofo Giorgio Agamben (1942-) all’inizio dello scritto che funge da introduzione ad un testo che raccoglie note di viaggio, note di programma e altri scritti del suo amico Stefano Scodanibbio.1 Così il pensatore apre la porta alla testimonianza dell’esistenza del musicista italiano in quanto artista e della sua visione del mondo, esponendo parallelamente e frammentariamente la configurazione dell’idea di musicista che si delinea tra il XX e il XXI secolo.
Scodanibbio: il virtuoso
L’idea del virtuoso in musica è legata all’immagine di uno strumentista capace di prodezze tecniche e sensibili che trasmettono un modo singolare di vedere il mondo. L’interprete viene considerato come dotato di un potenziale poetico fuori dall’ordinario, responsabile di trasmettere efficacemente l’aura poetica inerente alla scrittura musicale, disgregando la natura sonora in modo che possa essere percepita dall’ascoltatore. La singolarità del virtuoso risiede nell’attualizzazione della pratica musicale e illustra il modo in cui vita e mestiere si articolano nelle mediazioni dell’intimità. Il racconto di Scodanibbio è istruttivo nella misura in cui rende conto dell’aura che avvolge l’immagine del virtuoso del contrabbasso, in un punto storico che continua i tratti di Fernando Grillo (1945-2013). Come il suo predecessore, la reputazione di Scodanibbio è colma di momenti chiave e collaborazioni fortunate con compositori di riferimento della sua epoca. Questi elementi nel loro insieme danno credito all’’artista. La testimonianza della chitarrista Elena Casoli (1962-) è significativa in questo senso:
Ricordo un concerto a Milano: solo sul palco con il suo strumento, suonava libero, a tratti acrobatico. Lo sforzo fisico si fondeva con l’eleganza e la leggerezza del gesto. L’arco scorreva veloce e sicuro, alla ricerca del suono prezioso e dell’estensione estrema della tessitura del contrabbasso, dal registro più
profondo e potente ai suoni armonici sovracuti. Una fluidità quasi incantatoria permeava ogni pezzo. Nulla nel suo suonare era fine a se stesso; al contrario, era sempre coinvolgente, emozionante, uno stupore al
servizio della musica e del dialogo con il pubblico. 2
In effetti, è quella “fluidità quasi incantatoria” una delle manifestazioni concrete del virtuosismo di Scodanibbio, che avrà riverbero nella sua opera per strumenti solisti. Il racconto di Casoli rivela una capacità comunicativa che crea un legame magico tra l’interprete e l’ascoltatore. La trascendenza del virtuoso si inquadra quindi nella sua capacità di creare simultaneamente una poetica irriducibile e un flusso di comunicazione attraverso il suono.
Il viaggiatore
Il viaggio è il dispositivo esistenziale che consente a Scodanibbio di sperimentare il mondo in cui visse ed è, allo stesso tempo, un modo per aggiornare permanentemente la sua idea del presente, o, in altre parole, del suo divenire contemporaneo. Il viaggio è il riferimento del suo tempo e del suo significato come essere umano, ma è anche, come sottolinea il violinista Irvine Arditti (1953-), una fonte di ispirazione per il suo pensiero musicale.3 Da parte sua, il chitarrista Federico Bañuelos (1954-), amico intimo del compositore, testimonia:
Nel corso di tutti questi anni, infatti, passava il tempo visitando ogni luogo possibile e sperimentando cose, conoscendo persone. Era un avventuriero. Non riusciva a rimanere a lungo a casa. Due settimane, tre settimane, erano troppe. Era, come si dice in Messico, un “pata de perro” (un amante dei viaggi). Sempre. Inoltre, aveva i suoi luoghi di culto, il Messico era uno di essi. […].4
È in questo stesso senso che si proietta il commento dello scrittore Adolfo Castañón (1952-):
Percorse strade, conobbe dogane, sale d'attesa, praticò autostrade e stazioni ferroviarie, come chi compone avidamente le partiture della terra in cerca del suono promesso, apparendo pudicamente come se si
sacrificasse per una carriera artistica o per qualche centimetro in più di fama. Ma non era così.5
Probabilmente l’idea del viaggio era legata a quella dell’amicizia, dove l’incontro e l’assenza sono condizioni necessarie. Le testimonianze sottolineano costantemente che i legami creati attorno al mestiere musicale non erano slegati dalla fraternità e dall’empatia:
Era un amico leale e devoto, sempre a telefonare o a inviare cartoline da luoghi remoti del mondo per condividere la gioia degli splendidi viaggi che aveva fatto.6

Di che natura sono i viaggi? Quali significati hanno il viaggio e il viaggiatore per Scodanibbio? Negli anni Settanta, per il giovane musicista di poco più di vent’anni, il viaggio è fantasia e proiezione dei suoi riferimenti letterari. Attorno all’immagine del Messico profondo, la magia del mondo si traduce in “vita e felicità”. La poesia gli permette di leggere quel mondo che scopre.7 Più tardi, il viaggio diventerà piuttosto la fonte di documentazione e racconto artistico, riflesso retrospettivo dell’esistenza attraverso l’altro. Nella materia esperienziale dell’artista, è l’incontro costante con la diversità. È la possibilità di leggere la storia delle civiltà, di descrivere poeticamente i paesaggi naturali, urbani o rurali; così come è anche assaporare la gastronomia e immergersi nella cultura dei popoli. Essere viaggiatori diventa un’abitudine quotidiana di osservazione e di constatazione della realtà sociale del presente in cambiamento. Tuttavia, alla fine della sua vita, il viaggio per Scodanibbio è l’assenza, tradotta in perdita e dolore. È il rilievo dell’essenziale nell’esistenza. Il viaggio è l’immagine della sua vita stessa, plasmata come racconto biografico, inserita nell’oggetto musicale, lasciando intravedere il legame tra la creazione artistica e la vita stessa. Così, opere come Visas (1985-1987) e Altri Visas (2000), per quartetto d’archi, con titoli come “Alla Compagna di Viaggio” o “Au Seul Souci de Voyager”, estendono il racconto biografico del virtuoso.
Lo sciamano
Nel racconto post-moderno della fine del XX secolo, una figura che accompagna l’idea del viaggio e che consente l’osservazione del mondo attraverso il prisma del magico è quella dello sciamano. L’immagine del sacerdote, guaritore e indovino tra alcuni popoli del nord Asia e dell’America, serve da veicolo al fantastico e all’irragionevole dell’universo. La popolarizzazione dei lavori scientifici sulle sostanze allucinogene, così come la pubblicazione di testi inizialmente accademici, comincia a espandersi per dare vita a una sorta di “turismo sciamanico”.8 In questo contesto, la finzione dei racconti di profilo etnografico di Carlos Castaneda (1925-1998) alimenterà l’immaginario delle generazioni eredi della controcultura nordamericana. Negli artisti, questo “accesso alla magia” consente la “rinnovazione occidentale del pensiero magico” e si accentua nelle generazioni di compositori produttivi degli anni 1990 e 2000.9
Quando Casoli ricorda l’interpretazione di Scodanibbio, parla di “una fluidità quasi incantatoria”, che sembra avvicinarsi al prisma del rituale costruito dallo sciamano. Questo elemento simbolico non era assente dal pensiero del compositore ed è legato a un punto geografico specifico, come sottolinea Bañuelos:
Era affascinato, ovviamente, dalla cultura messicana. Una delle principali cose era la sua fascinazione per Castaneda e tutti questi argomenti. La questione magica: gli sciamani, la stregoneria di Don Juan.10
La figura del rituale sciamanico si rafforza in opere del repertorio per contrabbasso come Mantram (1967) di Giacinto Scelsi (1905-1988); o persino Yuunohui’nahui (1985) di Julio Estrada (1943-), dove Scodanibbio vedrebbe una musica “arcaica”, “primaria”, la più fresca che avesse mai interpretato e che solo “il vento migliore del continente americano può provocare per stimolarci a non adagiarci sulle presunte certezze della nostra tradizione eurocentrica”.11 In questo modo, l’idea dello sciamano permea la costruzione simbolica del virtuoso e la integra nel pensiero magico dell’Occidente contemporaneo.
Ancora oggi risuonano gli echi di questa idea di inclusione rituale nelle pratiche contemporanee della composizione. Ricordiamo il richiamo del compositore Raphaël Cendo (1975-) ai “guerrieri dell’immaginario”: “Dobbiamo onorarli, questi sciamani, questi posseduti, rispettarli e guardarli — in mancanza di comprenderli — come altri, noi stessi […]”.12 O sembra pertinente menzionare qui la posizione ascetica del compositore Pierluigi Billone (1960-), che si concepisce come un “guardiano del suono”.13
Il chitarrista
Un terzo elemento circoscritto nell’idea del virtuoso in Scodanibbio è quello del chitarrista. La chitarra non si limita ad essere una categoria nel catalogo del compositore, ma sembra anche un’associazione all’immagine dei chitarristi del XIX secolo. La figura più frequentemente citata è probabilmente Hector Berlioz (1803-1869), ma senza dubbio quella di maggiore trascendenza sul piano strumentale è Niccolò Paganini (1782-1840), la cui robusta opera per chitarra è ampiamente conosciuta.14 Questa associazione non è da poco, poiché si presenta come un elemento connettore tra l’immagine contemporanea del virtuoso e quella della tradizione.15
In effetti, Scodanibbio testimonia il posto privilegiato della chitarra nella sua vita di musicista. Nelle sue memorie racconta che è uno degli strumenti che conosce meglio, dopo il contrabbasso e il violoncello. La ragione, ci dice il compositore, è stata quella di aver convissuto molto strettamente con il Dúo Castañon-Bañuelos,16 a cui dedicherà Techne y Quando le montagne si colorano di rosa .17 Per Scodanibbio, la chitarra è un legame fraterno e intimità musicale: lui stesso eseguiva alcune opere del repertorio.18 Questo non si evidenzia in modo epidermico nelle sue opere per chitarra, ma è chiaro nelle citazioni che fa nei suoi Quattro Pezzi Spagnoli (2009), per quartetto d’archi, dove riprende i componenti melodici e armonici di alcune opere del repertorio chitarristico come: El testament d’Amèlia, di Miguel Llobet (1878-1938); Andante Op. 13 (Libro 3), di Dionisio Aguado (1784-1849); Studio Op. 35 n. 22 di Fernando Sor (1778-1839); e Lágrima (Preludio), di Francisco Tárrega (1852-1909).
[continua…]
- 1. Stefano Scodanibbio, Giorgio Agamben e Maresa Scodanibbio, Non abbastanza per me: scritti e taccuini, Macerata : Quodlibet, 2019 (In ottavo, 29), 302 p. ↩︎
- 2. Elena Casoli, Intervista a Elena Casoli: l’opera per chitarra di Stefano Scodanibbio, 2023, Questionario. ↩︎
- 3. Arditti Quartet, Stefano Scodanibbio : String Quartets, Kairos, 2022. ↩︎
- 4. Federico Bañuelos, intervista a Federico Bañuelos: l’opera per chitarra di Stefano Scodanibbio, 12 gennaio 2024, Intervista online. ↩︎
- 5. Adolfo Castañón, « Se dice Stefano Scodanibbio », πlacremus: perspectiva interdisciplinaria del laboratorio de creación musical, 2016, p. 25. ↩︎
- 6. Julio Estrada, « Cuatro cuerdas para Stefano Scodanibbio (1956-2012) », πlacremus: perspectiva interdisciplinaria del laboratorio de creación musical, 2016, p. 37. ↩︎
- 7. Scodanibbio et al., op. cit. (nota). ↩︎
- 8. Musée du Quai Branly Jacques Chirac, Visions chamaniques : arts de l’ayahuasca en Amazonie péruvienne, Paris, France, 14 novembre 2023. ↩︎
- 9. Laure Marcel-Berlioz, Omer Corlaix, Bastien Gallet et Françoise Nyssen (dir.), Compositrices : l’égalité en acte, Paris : Centre de documentation de la musique contemporaine ; Éditions MF, 2019 (Collection Paroles), p. 385. ↩︎
- 10. Bañuelos, op. cit. (nota). ↩︎
- 11. Scodanibbio et al., op. cit. (nota), p. 270. ↩︎
- 12. Raphaël Cendo, Du sens et du non-sens d’être encore vivant, tradotto da Zoé Andreyev e Elena Andreyev, Prima edizione, Paris : Maison ONA, 2021, p. 13. ↩︎
- 13. Dichiarazione fatta durante un incontro presso la Casa della Musica, Montaldeo (Italia), durante una masterclass di composizione nell’agosto 2024. ↩︎
- 14. Niccolò Paganini, Niccolò Paganini The Complete Works for Solo guitar, seconda revisione, EU : Chanterelle, 2006 1987, 208 p. ↩︎
- 15. Nel contesto della pratica musicale da concerto, il riferimento a figure emblematiche è frequente e permette di creare una rete di legami affettivi e identitari. ↩︎
- 16. Dúo Castañón-Bañuelos: ensemble di chitarre composto da Margarita Castañón e Federico Bañuelos. Attivo a livello nazionale e internazionale negli anni 1980-1990, è stato l’ensemble di chitarre più importante nel campo della diffusione della musica contemporanea in Messico. Il suo repertorio privilegiava opere di compositori messicani, con brani scritti specificamente per l’ensemble, utilizzando interazioni con mezzi elettronici ed esplorazioni timbriche inusuali. Riferimento: Federico Bañuelos e Margarita Castañón, WAYJEL. Dúo Castañón-Bañuelos, música para dos guitarras, Conaculta, INBA, Cenidim, UNAM, 1993, Serie Siglo XX. ↩︎
- 17. Scodanibbio et al., op. cit. (nota), p. 273. ↩︎
- Bañuelos, op. cit. (nota). ↩︎