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Zeno Baldi (*1988) è un compositore e sound artist dal linguaggio sonoro estremamente raffinato e distintivo, in cui confluiscono le sue molteplici influenze musicali.
Suoi brani sono stati eseguiti in numerosi festival internazionali, quali Festivals – Mata (New York, US), London Ear Festival (UK), Unerhörte Musik (Berlin), ArteScienza (Rom), TransArt (Bolzano), Open Music (Graz), Loop (Brussels) e da importanti ensemble come Divertimento, Linea, Mdi, Zeitfluss, Schallfeld, L’arsenale, Ex Novo, Quartetto Maurice, Azione_Improvvisa, Yarn/Wire, OPV Orchestra, Orchestra del Teatro la Fenice.
All’attività compositiva, alterna quella di performer elettroacustico esplorando nei suoi Solo set diverse configurazioni strumentali: dai synth analogici ai piezo elettrici, dai solonoidi ai pedali analogici.
In questa intervista, ci focalizzeremo sui suoi lavori per chitarra, cercando di approfondire alcuni dei temi estetici e musicali più rilevanti nel percorso creativo del compositore veronese.
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Ciao Zeno e grazie per essere con noi oggi.
Compositore, performer e improvvisatore elettroacustico. Come si intrecciano e si influenzano a vicenda queste tue diverse anime musicali?
Ciao e grazie a voi per l’invito.
Dunque, nel 2017 io e l’amico compositore Michael Cutting (ora attivo principalmente nel progetto Hyperdawn) condividevamo un particolare interesse e curiosità per l’elettronica computer-free (“look mum no computer!”). Sapendo che in quel periodo stavo sperimentando con pedali in catena e un synth semi analogico, mi propose di suonare in apertura al lancio del suo ep d’esordio, in cui suonava quasi esclusivamente registratori a bobina aperta, al centro culturale Legroom, a Manchester. È da lì, un pò per caso, che è nata questa strada parallela (anzi, il più delle volte è trasversale) alla mia attività di scrittura in senso stretto.
Nei primi anni ho suonato molto raramente, sempre in solo, continuando a cambiare strumenti e set up per ogni concerto, sfruttando quelle occasioni come laboratorio dove testare nuove soluzioni tecniche, nuove idee, nuove durate (!) per le composizioni elettroacustiche che avrei dovuto scrivere in seguito.
Poi progressivamente è successo anche il contrario: scrivendo pezzi per altri musicisti, mi è capitato di sviluppare alcune tecniche esecutive specifiche (ad esempio il controllo d’intonazione di feedback prodotti su piatti e membrane) e di sentire l’esigenza di un’esplorazione più libera, parzialmente improvvisativa, che ha portato anche a collaborazioni con altri musicisti (ad es. col Duo Dubois o con Ljuba Bergamelli).
Sono felice che tu abbia scelto il verbo “intrecciarsi”: effettivamente penso che nella mia musica l’intreccio avvenga a più livelli, dagli ascolti e le influenze, all’aggrovigliato routing del segnale audio-midi, con cui cerco da qualche anno di creare iper-strumenti, suonati a più mani.
Partiamo dal tuo ultimo lavoro: il nuovo solo per chitarra elettrica presentato qualche settimana fa.
Potresti raccontarci la genesi di questo brano e le idee che lo hanno ispirato?
Opal è scritto per François Couvreur (chitarrista e direttore artistico dell’Ensemble Hopper), commissionato dal Centre Henri Pousseur (istituto belga di musica elettronica), ed è stato eseguito in prima assoluta al Festival Images Sonores, nel Maggio 2024.
Sicuramente c’era fin da subito la volontà di indagare nuove possibilità microtonali con la chitarra – sia melodiche che armoniche – e la loro entrata in risonanza con alcune frequenze provenienti dall’elettronica o dallo spazio d’esecuzione stesso.
A livello prettamente chitarristico è stata fondamentale la scoperta di Lenny Breau, e del suo uso quasi impressionistico di alternanza timbrica fra armonici naturali/artificiali e corde vuote/diteggiate.
La fase di studio e ricerca ha portato poi alla scelta di una chitarra con fretboard parzialmente quartitonale, e allo sviluppo (da parte di Patrick Delges del Centre Henri Pousseur) di specifici strumenti/effetti per il live electronics.
Il titolo infine fa riferimento alle pietre preziose il cui colore cambia a seconda del punto/angolo di osservazione, svelando sfumature iridescenti dell’arcobaleno; possono essere trasparenti, traslucidi o opachi, e il colore di fondo può essere bianco, nero o quasi tutti i colori dello spettro visivo. Alcune di queste qualità, insieme a fenomeni più generali come l’interferenza e la diffrazione (della luce, del suono), sono stati concetti guida importanti nella creazione di questo brano.
So che per realizzare questo brano c’è stata un’attenta ricerca dal punto di vista della spazializzazione e diffusione del suono e ti sei addirittura fatto costruire un pick specifico.
Si, negli ultimi lavori ho cercato di prestare una maggiore attenzione alle modalità di diffusione sonora nello spazio, e in questo caso ho potuto includere soluzioni tecniche più ambiziose grazie al supporto economico/produttivo del Centre Henri Pousseur. Seguendo la pista tracciata dal compositore Chrisopher Trapani, ho infatti chiesto a Paul Rubenstein (aka Ubertar, musicista e inventore americano) di realizzare un pickup esafonico ad hoc per la nostra chitarra microtonale.
Con l’aiuto del liutaio Pietro Furlattini, ho infine calibrato questa Frankenstein-guitar combinando il pickup esafonico col nativo P90. Il sistema esafonico permette la separazione, la manipolazione individuale e la spazializzazione delle sei corde, “divise e riassemblate” dal live electronics in un nuovo strumento diffuso attraverso un sistema 8.1.
Nel brano Licheni, scritto per Azione_Improvvisa, hai esplorato sonorità per chitarra elettrica che, pur rimanendo idiomatiche, si allontanano dalla tradizione e dall’immaginario comune dello strumento. È un obiettivo che persegui consapevolmente nella tua ricerca strumentale, quasi una “nuova liuteria”, o emerge spontaneamente dalla tua estetica musicale?
Non saprei rispondere con certezza, forse entrambe le cose. In generale sono piuttosto insofferente nei confronti dell’eccessiva retorica e dei clichés, non solo in contesto musicale. Non sono ossessionato dall’idea di inventare suoni o tecniche “mai usate prima”, mi sta più a cuore riuscire ad evitare gli automatismi e le mode, e trovare soluzioni che mi rispecchiano.
Parlando di chitarra elettrica nello specifico, faccio molta fatica a digerire la trasposizione in ambito contemporaneo di suoni (e gestualità strumentali) marcatamente rock, anche in autori che amo, come ad esempio Romitelli. Per me inoltre è inconcepibile scrivere un pezzo per chitarra elettrica senza aver definito nei dettagli il suono “clean” dello strumento, e lo stesso vale per gli effetti, anche sui più comuni: non riesco a concepire l’uso generico di un distorsore, un riverbero (…ecc.), senza sapere quali ho a disposizione nello specifico.
Hai utilizzato la chitarra elettrica in molteplici contesti: ensemble, solo, brani lunghi e miniature. Pensi che ci sia ancora margine per un’ulteriore indagine strumentale? Quali nuovi orizzonti sonori ti piacerebbe esplorare?
Assolutamente sì, penso che ci siano ancora molti orizzonti di ricerca verso cui tendere.
Mi piacerebbe approfondire la ricerca microtonale e la separazione del segnale attraverso il pick up esafonico, possibilmente sfruttandolo in modi diversi da quelli percorsi in Opal. Mi piacerebbe anche riprendere un lavoro di ricerca, appena abbozzato, su set di corde dallo spessore più o meno uniforme (un pò come per la chitarra battente), così da permettere sistemi d’intonazione e diteggiatura non convenzionali. Ma ci sono tante altre cose su cui vorrei lavorare…
L’approfondimento di uno strumento (e strumentazione in senso più ampio) specifico permette di scoprire nuove possibilità espressive. Dall’altro, però, potrebbe rendere più complessa la diffusione della musica. Come vivi questa dicotomia?
Il problema sorge soprattutto quando ci sono molte componenti create ad hoc per un progetto specifico, e quindi difficilmente replicabili da esecutori diversi dai dedicatari.
Per molti versi sarebbe più facile e logico scrivere per organici tradizionali, evitando strumenti (hardware come anche software) complicati da reperire; devo ammettere però, che nel mio caso spesso gli esiti migliori e le esperienze più positive (oltre che divertenti e avventurose) sono nate lasciando questo aspetto/problema in secondo piano. Per quanto possibile, cerco sempre di procurarmi il materiale necessario, magari acquistandolo diluito nel tempo, in modo da poter spedire le parti mancanti.
Svelaci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri. Hai in mente nuove composizioni per chitarra elettrica o altri strumenti?
Se tutto va bene, nel 2025 lavorerò ad un progetto collettivo insieme al chitarrista Ruben Mattia Santorsa, al trio Neko3 e alla compositrice Giulia Lorusso per un progetto elettroacustico di ampio respiro, che coinvolgerà anche il light design.
A livello chitarristico, aspetto di lavorare direttamente con Ruben Mattia per capire che direzione prendere, anche se probabilmente testerò un nuovo pick up esafonico che si può (s)montare senza operazioni invasive per la chitarra.
Oltre a questo, mi piacerebbe affrontare – dopo questi ultimi anni molto “cameristici” – un grande organico (grande ensemble o grande orchestra ancora meglio), quindi spero si presenti presto l’occasione.