Artista valenciano eclettico, Joan Gómez Alemany (1990) vanta una vasta produzione compositiva. I suoi lavori esplorano il processo musicale attraverso trasformazioni estreme, che portano gli strumenti stessi a rivelare sfaccettature inedite e spesso in totale contrasto con la loro funzione tradizionale. Tuttavia, la sua musica appare ben centrata e coesa, riuscendo a coniugare materiali complessi e caotici con momenti di grande espressività melodica. Questo equilibrio tra innovazione e tradizione riflette la sua passione per la pittura e la scrittura, nonché la sua incessante ricerca di nuovi suoni.
Joan, grazie per essere qui con noi. Il tuo catalogo è ricco di molte opere per chitarra, nonostante la tua giovane età. Hai un approccio diretto: sperimenti con accordature che spesso spingono i limiti dello strumento, sviluppi tecniche percussive peculiari e dai vita a varie preparazioni con oggetti di uso comune. Da dove nasce questo tuo approccio?
A Berlioz viene attribuita la frase “la chitarra è una piccola orchestra”. Sono completamente d’accordo con lui: la grande quantità di possibilità di questo strumento, con le sue sottigliezze timbriche, rende la chitarra uno dei miei strumenti preferiti per comporre. Il mio strumento principale è il pianoforte, che per me ha molte connessioni con la chitarra in termini di grandi possibilità timbriche, ma la chitarra ha il vantaggio di essere molto più leggera e con un meccanismo non così grande né complesso come il pianoforte. Questo la rende molto più adatta a essere trasformata e ampliata in modo più facile e diretto, convertendola direttamente in uno strumento a percussione, ma anche in uno strumento a corde sfregate (come un violino) e, ovviamente, nel suo uso ordinario come strumento a corde pizzicate. Questi sono tre approcci generali che ho utilizzato nelle mie composizioni e non ci sono molti strumenti che permettono tale versatilità. Per questo motivo è lo strumento ideale per l’esplorazione timbrica, una caratteristica comune nella musica del nostro tempo.
Hai mai consegnato direttamente al performer la partitura, senza prima esplorare personalmente lo strumento?
Beh, ti assicuro quasi certamente che con la chitarra non l’ho mai fatto, questo perché ho una chitarra in casa e ogni volta che compongo per essa la tengo accanto a me. Per me, il miglior trattato di strumentazione è avere lo strumento stesso quando componi, per poterlo capire e suonarlo nella sua materialità. A mio avviso, da una concezione del suono attuale, lo strumento non dovrebbe essere un’entità ideale e astratta che devi immaginare per sentirlo. Questo poteva funzionare (e in qualche modo funziona ancora per alcuni) quando si pensa allo strumento unicamente in “intonazioni pure” come le note, e quindi si può comporre per chitarra con il pianoforte, tenendo conto unicamente di questioni di diteggiatura e registro. Credo che questo tipo di approccio sia molto antico e erede della musica tonale, e nella musica di oggi (almeno la più avanzata) questo modo di pensare è completamente superato. Per questo motivo, ogni volta che posso, utilizzo lo strumento per comporre o, se non ce l’ho, nel miglior caso chiedo direttamente al performer. L’ideale è combinare entrambe le opzioni, ma a volte non è possibile. Fortunatamente, la chitarra è uno strumento facile ed economico da acquistare (almeno in Spagna), il che consente di esplorare personalmente le sue tecniche.
Nei tuoi primi lavori scritti per chitarra, Un nouveau morceau de musique surréaliste e L’arrivée (2018/2019), ci sono materiali tra loro analoghi. Tuttavia, sono scritti per due strumenti molto diversi, come la chitarra classica e quella elettrica. In cosa hai trovato elementi simili e in cosa hai percepito le differenze?
Trovo molto interessante l’idea che proponete. Concepite la chitarra come una piccola orchestra, più che come uno strumento essenziale con le sue caratteristiche differenziate, a volte produce il risultato che i suoi limiti si offuschino. In un certo senso, i suoi confini stabili e abituali sono stati eliminati e le tecniche strumentali o direttamente la produzione del suono sono stati (potremmo dire) deterritorializzati. Questo provoca che “possiamo ascoltare” (con un po’ di immaginazione) un pizzicato di contrabbasso in una chitarra classica, come una ciotola tibetana in una chitarra elettrica, per fare due esempi.
Rispondendo più direttamente alla tua domanda, credo che sia più chiaro che se ci si avvicina a questi due strumenti con le idee menzionate prima, è facile capire come le differenze tra i due si sfumino e si possano trovare materiali analoghi. Nelle due opere che avete citato, è molto presente l’elemento percussivo o rumoristico dell’ensemble che esegue il pezzo. Per questo motivo, tra la chitarra classica ed elettrica si condividono sonorità che enfatizzano quel lato più vicino al rumore. In questo modo si silenziano le corde per eseguire varie tecniche attraverso graffi o pizzicati molto percussivi. Se questi materiali vengono amplificati (come è il caso delle opere citate), risulta molto difficile capire se sono eseguiti da una chitarra classica o elettrica. Tuttavia, è totalmente vero che gli strumenti, in sé stessi, hanno alcune caratteristiche proprie; a mio avviso, la più evidente è la differenza acustica ed elettrica. In tal senso, e per citare un esempio, nella chitarra elettrica l’uso del jack come un “plettro” o il rumore bianco dell’amplificatore possono creare un intero mondo impossibile da realizzare in una chitarra classica ordinaria.
Hai evidenziato le diverse possibilità della chitarra elettrica nel lavoro per ensemble TV (TeleVision) = TN (TransNacional) = TNT (Turner Network Television) (TriNitroToluene), una critica ai programmi spazzatura che caratterizzano la rete televisiva nazionale. Questa ricerca ti ha portato a esplorare suoni bianchi e granulari, che trasformi in moduli autonomi in Archive Delirium del 2022. Come è stato il tuo approccio alla chitarra in un contesto cameristico?
Il mio approccio alla chitarra elettrica è dovuto al fatto che ho lo strumento in casa per poterlo esplorare in profondità. Proprio per il pezzo TV…, poiché era di grande complessità ed era una commissione per il Festival Ensems, ho deciso di acquistare lo strumento per poterlo conoscere nella sua materialità. È vero che il primo pezzo in cui ho utilizzato una chitarra elettrica è precedente, L’arrivée, ma è di appena due minuti ed è stato presentato al Festival Impuls come opera selezionata in una “call for scores” dell’Ensemble Nikel. Dato che TV… era un approccio diverso per un’opera di quasi nove minuti, al momento della composizione e per creare un linguaggio ricco e variegato, mi era impossibile non avere lo strumento in mano e conoscerlo solo attraverso la lettura di partiture, l’ascolto di audio e la lettura di libri sulla chitarra elettrica. Per questo ho deciso di acquistare una chitarra e di esplorare tutte quelle sonorità di cui parli, che altrimenti sarebbe stato impossibile conoscere a fondo.
La ricerca del rumore bianco l’ho fatta in modo molto intuitivo, come anche tutti gli elementi granulari che ho ottenuto praticando lo strumento con un approccio molto investigativo. Molte tecniche non le conoscevo prima, anche se poi ho visto che erano presenti in diverse partiture, ma poiché non le capivo del tutto quando le ascoltavo, non sapevo riconoscerle e individuarle. Da quel lavoro preliminare con la chitarra come “solista ricercatore”, è da lì che ho potuto fare il salto a un approccio complesso alla musica da camera con questo strumento. Infatti, in TV… non è un caso che il pezzo inizi con un assolo di chitarra elettrica di circa trenta secondi, dato che questo strumento ha molta importanza nel corso dell’opera e la sua sonorità influenza tutto l’ensemble, “elettrificandolo”. È proprio la forte personalità della chitarra elettrica, con le sue migliaia di possibilità anche grazie all’uso dell’effettistica, che mi ha permesso di far sì che la sua inserzione nella musica da camera si mescolasse inevitabilmente con gli altri strumenti acustici (anche se amplificati e anche se ci fosse stata musica elettronica “tape”).
La dialettica tra l’elettronico e l’acustico mi ha sempre affascinato molto, e ciò è dovuto al mio profondo interesse per la musica elettroacustica e per strumenti così particolari e unici come la chitarra elettrica. Inoltre, in Archive Delirium, l’uso della chitarra elettrica in un contesto da camera è così fruttuoso che anche gli altri strumenti, pur essendo acustici, sono dotati delle loro pedaliere. Essendo amplificati, questi strumenti possono manipolare il loro suono in tempo reale, creando un effetto “elettrificato” grazie a distorsioni, delay, riverberi e simili. In questo modo, si genera un “delirio” (come suggerisce il titolo del pezzo) che emerge dalle sonorità offerte dalla chitarra elettrica.
Se da un lato le composizioni per ensemble presentavano un lavoro raffinato su un suono specifico, in Una tierra fragmentada (2020) e Un fragmento de tierra (2017) è la ripetizione ossessiva di pattern e ritmi derivati da linguaggi tradizionali, come il flamenco, a determinare la forma dei lavori. Entrambi i brani, scritti per quartetto, trattano tematiche molto simili, come suggeriscono i titoli.
Sì, in queste composizioni, a differenza delle precedenti, si cerca di esaltare di più il lato “caratteristico o strumentale” delle chitarre. Sia questa scelta che la “contraria”, ovvero eliminare ogni caratteristica strumentale per deterritorializzare il suono, sono opzioni che non considero antitetiche, ma che dipendono dall’interesse del compositore in quel momento e dagli obiettivi estetici che si propone in ciascuna composizione. A mio avviso, maggiore è la varietà e le possibilità della musica, più questa dimostra ricchezza e conoscenza dell’arte dei suoni.
Il flamenco e la musica araba sono generi che mi sono sempre piaciuti molto e con cui ho lavorato in diverse composizioni (come in Meta-improvisació, Azhan o VIENTO del PUEBLO. Homenaje a Miguel Hernández). Generalmente, questi prestiti o citazioni stilistiche di altre musiche sono molto “trasfigurati” e integrati in un contesto proprio della musica contemporanea, che tende ad avere uno stile più internazionalista. I due quartetti per chitarra si collegano tra loro, non solo perché i titoli suggeriscono una relazione di tipo palindromico, ma soprattutto perché entrambe le opere esplorano (potremmo dire) un frammento della musica caratteristica di un territorio (Andalusia o Spagna per il flamenco e paesi arabi per la musica araba). Tuttavia, i titoli indicano anche una connessione con il movimento artistico del “Land Art” (Michael Heizer, Dennis Oppenheim, Richard Long, Robert Smithson, ecc.), che ispira le composizioni per le loro costruzioni paesaggistiche e forme geometriche, influenzando la creazione motivica dei due quartetti.
L’uso di elementi più tradizionali e di pattern chiari e ripetitivi appare in entrambe le opere, anche se è più evidente in Un fragmento de tierra. Questo pezzo per quartetto di chitarre classiche trasporta molto più rapidamente nell’immaginario del flamenco rispetto alla chitarra elettrica. Normalmente, quando la chitarra elettrica è stata usata nella musica flamenca, era per introdurre un’influenza rock o pop, creando uno stile “fusion”. Questo tipo di musica non mi interessa; quello che ho cercato in Una tierra fragmentada è stato il processo contrario, ovvero portare la chitarra elettrica a una caratteristica sonora del flamenco, allontanandola dalla sua sonorità associata alla musica commerciale.
L’esplorazione del suono ti ha spesso portato a trasformare il ruolo degli strumenti musicali in “mezzi” per ottenere gesti, sonorità e rumori adatti a contesti specifici. Penso a Azhan I (2018), per sassofono e percussioni, dove la chitarra, posizionata su un tavolo, subisce diverse preparazioni e le corde servono come strumento di risonanza dopo un gesto percussivo. Questa ricerca del rumore come componente sonora è una costante nel tuo stile.
Ritorno ancora una volta alla frase di Berlioz: “la chitarra è una piccola orchestra”. Questo strumento può offrire una palette di timbri senza pari (sia note che rumori e le loro molteplici transizioni), rendendo la chitarra una sonorità che, se mi permettete di dirlo, va oltre gli stessi chitarristi, permettendo l’uso da parte di altri strumentisti come i percussionisti. Ricordo che sono un pianista di formazione e che la chitarra ha per me molte connessioni con il pianoforte; pertanto, mi sentirei di affermare che io “suono la chitarra anche come pianista” (anche se è ovvio che non raggiungerò mai il livello di un chitarrista professionista). In Azhan I, il percussionista utilizza la chitarra con una notazione tipo percussione, permettendo di interpretare questo strumento senza le conoscenze specifiche di un chitarrista (con i tasti, le altezze specifiche, il pizzicato, la tecnica delle dita, ecc.). Questo fa sì che la chitarra si avvicini ad altri strumenti tipici della percussione, come il flexatone (per imitare i glissandi che può fare la chitarra), piatti o ciotole tibetane (come gli armonici, i suoni campanari o i multifonici della chitarra) o lastre di legno (percuotendo con bacchette sulla cassa della chitarra). Tutto questo ventaglio di tecniche fa sì che la musica non si limiti alle classiche sonorità di note e accordi, ma esplori un campo quasi infinito che solitamente raggruppiamo come “rumore” e che è spesso associato a vari strumenti a percussione (non a strumenti temperati o tradizionali). Molte delle tecniche che associamo alla musica di oggi provengono da strumenti costruiti per eseguire note perfette, ma che abbiamo decontestualizzato (o de-costruito) per creare nuove sonorità non legate allo stile tonale e per aprire nuovi mondi espressivi.
Non sei solo un compositore, ma anche un interprete: spesso suoni il pianoforte e regolarmente in qualità di improvvisatore. Quanto è importante l’improvvisazione affinché la tua musica prenda vita? Esiste un vero legame tra queste due attività?
A mio parere, l’interprete (o almeno colui che non si limita al significato stretto del termine) deve andare oltre la semplice esecuzione di una partitura, per aprirla, come se la ricreasse o fosse capace di improvvisare con la propria tecnica e stile. Per un compositore (o almeno per quanto riguarda il mio caso), il processo è inverso, poiché la composizione spesso nasce dall’improvvisazione con gli stessi strumenti o dall’interpretazione o ascolto di opere già scritte che suggeriscono nuove idee per comporre. Si può così constatare che le differenze tra composizione, improvvisazione e interpretazione non sono inconciliabili e totalmente opposte, bensì che i confini stessi possono essere sfumati, creando interessanti legami tra tutte queste attività (e altre). Per me questo è molto più ricco e aiuta a comprendere la musica (o il suono) da una concezione globale e olistica. Tuttavia, la specializzazione è necessaria e resta impossibile voler fare tutto bene allo stesso modo: indubbiamente tutti abbiamo dei limiti e dobbiamo scegliere. Io stesso ho iniziato con l’interpretazione al pianoforte, ma successivamente mi sono dedicato anche alla composizione, anche se ho dovuto abbandonare la prima attività perché non potevo fare tutto contemporaneamente.
Vorresti parlarci dei tuoi progetti futuri?
Nel momento in cui scrivo questa intervista, all’inizio di agosto, sto proprio ultimando un’opera che sarà presentata il 23 settembre al Festival Ensems di Valencia, per sassofono, video ed elettronica, commissionata dalla sassofonista Xelo Giner.
Per la fine di ottobre, sarà presentata a Vigo e pochi giorni dopo verrà riproposta a Pamplona un’opera che sto scrivendo ora e dove per la prima volta includo una chitarra classica e una elettrica (eseguite su un tavolo) in una stessa composizione. Le due chitarre sono utilizzate come strumenti a percussione, ecco perché l’opera è per quattro percussionisti, dove gli altri due eseguono anche altre “corde” come un birimbao e un violino. L’opera, che comprende anche video ed elettronica, sarà presentata dall’Ensemble Vertixe Sonora e si intitola Para Vicente Gómez García, pictoescultura de luz y sonido, dove vedremo alcune pitture e sculture di questo artista che saranno correlate alla mia musica.
Per novembre, il quartetto di sassofoni Lumina Ensemble dedicherà il mio primo concerto monografico al Museo MACA di Alicante, interpretando quasi tutto il mio repertorio scritto per sassofoni (dall’opera più antica del 2018 fino a quella più recente). Come la chitarra, il sassofono è uno strumento che ho anche a casa, mi piace molto e al quale ho dedicato molta musica. Questi sono i miei progetti futuri più prossimi; ne ho altri, ma per ora sono ancora in fase di sviluppo.
Grazie mille per l’intervista, che ho trovato molto interessante e con domande ben studiate e stimolanti. Un grande abbraccio!