Javier Torres Maldonado (*1968), è uno dei più rappresentativi compositori messicani. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi premi, tra i quali spiccano il Queen Elisabeth, Alfredo Casella, il Prix des Musiciens e importanti commissioni come la Commande d’État e quella della Ernst von Siemens/Klangforum. Stabilitosi in Italia, attualmente è docente di composizione elettroacustica presso il Conservatorio di Milano. La sua musica è frutto di una continua ricerca fra il “naturale e l’artificiale” – che fa spesso uso delle nuove tecnologie quale strumento ausiliario all’artigianato compositivo – tramite la quale dà vita a sinergie sonore del tutto inedite. La sua passione per la chitarra ci ha spinti ad approfondire i lavori dedicati allo strumento e ci ha permesso di esplorare da vicino ogni tappa della sua carriera fino al presente.
Javier, grazie per aver accolto la nostra richiesta.
La tua carriera vanta un lungo percorso di studio e sperimentazione. Si nota con interesse che la chitarra è già presente tra i tuoi lavori fin dai tempi in cui eri uno studente. La tua Suite, infatti, è datata 1991. Com’è stato il primo approccio con lo strumento?
Grazie a voi per l’interesse, accolgo l’invito molto volentieri. Amo molto la chitarra, sin da bambino; infatti, è stato, con il pianoforte, il primo strumento che ho suonato. La mia Suite del 1991? Incredibile! Come ci siete arrivati a quel pezzo strano?
L’ho eliminato dal catalogo molti anni fa! Probabilmente avevo sedici anni quando l’ho scritta, non me lo ricordo più…
Per me è stato naturale iniziare a suonare la chitarra, dato che in Messico è quasi un simbolo nazionale. È stato mio padre (che era veterinario, ma aveva studiato anche pianoforte alla Scuola Nazionale di Musica dell’Università Nazionale di Città del Messico -UNAM-) a introdurmi alla musica. Quando vivevo ancora a Chetumal (Penisola dello Yucatan), spesso andavamo a trovare un suo amico, che era chitarrista e suonava splendidamente la Bossa nova e diversi altri generi tradizionali: ho imparato molto da lui, sentendolo suonare.
A tredici anni mi sono trasferito a Città del Messico per iscrivermi a violino al Conservatorio Nazionale e poco dopo anche a chitarra. Tuttavia, date le esigenze degli studi di violino e il fatto che dedicavo molto tempo ai primi tentativi di composizione, il mio percorso accademico sulla sei corde si è limitato a quattro anni in cui ho affrontato il repertorio (didattico) tradizionale: tutti i volumi di Sagreras, studi e preludi di Brouwer, brani di Tarrega, Villa-Lobos, ma anche qualche suite di de Visée, Weiss e successivamente Bach.
Sebbene interrotti, ho continuato a leggere brani del repertorio di tradizione non appena riuscivo ad avere del tempo libero. Inoltre, quando andavo l’estate dai miei, suonavo spesso la Bossa nova con l’amico di mio padre e con altri musicisti – cosa che mi ha permesso, tra l’altro, di acquistare un violino migliore.
Purtroppo ho avuto poco contatto con la musica d’avanguardia per chitarra di quell’epoca: gli insegnanti con cui ho studiato avevano un pensiero molto tradizionale, non tutti i compositori scrivevano per chitarra (è sempre uno strumento difficile se non lo si conosce dal punto di vista tecnico). Solo dopo, quando ventunenne ho iniziato gli studi di composizione, ho potuto avere accesso ad alcuni brani del repertorio chitarristico moderno, scoprire le incredibili risorse che lo strumento offre e come sia, di fatto, proiettato nel futuro.
Negli Estudios concretos, lavoro in tre movimenti (Objets intrus, Crisscrossing (« the bells »), Acuática) del 2017, ti servi dell’elettronica e la chitarra è in continuo dialogo con essa. Come cambia il metodo di lavoro quando si aggiunge l’aspetto elettronico come parte del processo compositivo?
Gli Estudios concretos sono molto particolari, anche rispetto ad altri brani per strumento solo ed elettronica che ho composto, perché l’idea di base – soprattutto per quanto riguarda i primi due studi – è quella di creare una musica concreta i cui oggetti sonori e processi compositivi siano in gran parte il risultato di un’associazione globale di entrambe le sorgenti sonore: suoni provenienti dalla realtà e quelli prodotti dalla chitarra. Ad esempio, nel primo studio Objets intrus ho esplorato diverse tecniche e livelli di associazione degli oggetti sonori utilizzati (fusione spettrale o figurale, complementarietà gestuale, distribuzione spettrale, etc). L’uso di una voce infantile (quella di mia figlia da bambina) si presenta come uno degli elementi sonori a cui è possibile associare un significato diverso dal resto degli eventi che ne derivano e, di fatto, se ne dissocia in molti momenti. L’organizzazione formale corrisponde a cinque brevi accostamenti ai materiali di base: figure che imitano inflessioni vocali, vortice di impulsi ritmici irregolari, accrescimento materico microcosmico ottenuto per sintesi granulare che comprende, per associazione o dissociazione gestuale, nuovi oggetti sonori (“oggetti intrusi” appunto: canto degli uccelli, frusta nell’aria, cristalli e altri materiali che si rompono…). Il pezzo si conclude mantenendo l’idea di frammentazione microcosmica, ma questa volta lo fa alterando costantemente la velocità di lettura dei suoni concreti, in modo che si verifichi un glissando ascendente che è preceduto dallo stesso gesto nel registro sovracuto dello strumento, tramite il quale si imita la micro-frammentazione del materiale descritto, grazie ad una tecnica particolare.
Gli altri due studi presentano caratteristiche proprie: il secondo associa oggetti metallici e percussivi al suono particolare di quarta e quinta corda incrociate tra loro, nonché tecniche percussive su diverse parti dello strumento e sulle corde, mentre il terzo è ancora diverso, perché i suoni acquatici proposti nell’elettronica sono associati a oggetti di diversa natura sonora: la chitarra si sovrappone a essi unendo la risonanza di alcuni unisoni (doppie corde da cui si ottengono spesso armoniche naturali) e figure strumentali più tradizionali. Al termine viene ripresa l’idea di superfici microcosmiche aumentate e il tutto è interrotto dall’inconfondibile suono di una grande bolla d’acqua.
Ci vuoi parlare del sodalizio con il chitarrista argentino Pablo Marquez, che ricorre spesso come dedicatario e interprete dei tuoi brani chitarristici?
Come succede spesso ai compositori riguardo agli strumenti che suonano e di cui conoscono il repertorio, personalmente avevo una sorta di “blocco” creativo che mi impediva di considerare l’idea di scrivere per chitarra e per violino. È stato grazie all’amicizia con Pablo Márquez che l’ho superato; la sua insistenza e interesse nella mia musica mi hanno portato a lavorare inizialmente sul dittico Espira I, Espira II, in cui la chitarra è protagonista. E’ stato l’inizio di una delle più belle collaborazioni che ho avuto con un interprete.
Allo stesso Pablo Márquez e al chitarrista italiano Maurizio Grandinetti è dedicato il recente doppio concerto per due chitarre ed ensemble Fénix (naturaleza visible). Un lavoro molto ambizioso ed esteso. Ce ne vuoi parlare?
Il brano è stato commissionato dall’Ensemble Phoenix di Basilea e dal Fondo Nacional para la Cultura y las Artes (FONCA) del Messico ed è il risultato della mia collaborazione con Pablo e Maurizio, musicisti eccezionali. È stata un’idea che avevo da tempo: volevo esplorare nella chitarra delle sonorità microtonali derivanti da un sistema compositivo multidimensionale, che partisse da un’utilizzazione frammentaria di espansioni e contrazioni di materiali non esclusivamente poli-spettrali: era impossibile ottenere i risultati che immaginavo con una sola chitarra. Il brano doveva durare almeno 25 minuti e pensavo già allora a tre movimenti contrastanti; fu così che ne parlai con Pablo e Maurizio e l’idea è stata proposta al meraviglioso Ensemble Phoenix in occasione della prima assoluta degli Estudios Concretos, eseguiti da Pablo,che ha avuto luogo alla Gare du Nord di Basilea.
Il pezzo nasce da diverse idee, alcune delle quali sono vere e proprie costanti nella mia musica, in particolare quelle riguardanti l’intenzione di stabilire un legame tra gli oggetti sonori provenienti dalla realtà e la loro manipolazione attraverso processi di invenzione artistica, da cui dipendono varie trasformazioni, e il cui risultato potrebbe essere paragonato a “reazioni chimiche immaginarie”. Queste reazioni danno origine a elementi musicali contrastanti, la cui deformazione arbitraria ed espressiva mantiene, tuttavia, percettibili legami con gli oggetti sonori di base.
A proposito del titolo dell’opera, posso dire che il rapporto fra materiale di base e unità formale avviene tramite processi di distanziamento (dei giochi di prospettiva veri e propri) applicati agli oggetti originali. Alla fine di ogni ciclo di trasformazione, i materiali ritornano con una luminosità diversa, come farebbe una fenice a partire dalle proprie ceneri. Il progetto è stato adottato subito dall’ensemble e, nonostante il difficile periodo dovuto alla cancellazione di tanti concerti per l’emergenza sanitaria (è stato impossibile eseguirlo pubblicamente in Svizzera e in Messico), siamo riusciti a trasformarlo in una produzione discografica (LP) che dovrebbe uscire finalmente nell’autunno 2022: si tratta di una registrazione davvero meravigliosa. Il contributo di entrambi gli interpreti per il perfezionamento di alcune delle tecniche esplorate è stato fondamentale e i loro suggerimenti hanno arricchito alcuni passaggi di questa partitura. L’interpretazione dei solisti e dell’ensemble, diretti da Jürg Henneberger, costituisce un documento molto importante per la mia musica, che trascende, grazie alla bellezza del suo risultato, i limiti impliciti derivanti dell’ascolto di una registrazione.
Il brano si divide in tre movimenti contrastanti; fra i materiali di base troviamo corde a vuoto di entrambe le chitarre (a ognuna corrisponde una scordatura particolare che include diverse altezze microtonali), i loro rispettivi armonici (naturali o multifonici), la trascrizione del suono di un bicchiere di cristallo, diverse “deformazioni” dello stesso e alcune trasformazioni di accordi provenienti da Vers la flamme di Scriabin.
Il primo movimento presenta alcune delle trascrizioni dell’oggetto sonoro di base in maniera quasi letterale; tuttavia, risulta difficile all’ascolto dedurre che questo materiale proviene da un bicchiere di cristallo, per questo motivo il titolo adottato è Del cristal subliminal. La scordatura delle chitarre permette un’esplorazione particolare di diverse sonorità dipendenti dagli armonici naturali e dai multifonici, nonché di differenti tipologie di rasgueado, non solo quello proveniente dal flamenco, ma soprattutto quelle assimilabili alle musiche tradizionali latinoamericane, come il messicano huapango, e altre tecniche che appartengono alla mia musica, come suoni stoppati di diversa natura utilizzati negli strumenti ad arco e naturalmente sulla chitarra.
Il secondo movimento si intitola Simple, poiché il gesto che lo caratterizza è infatti molto semplice: si compone di diverse sequenze delle altezze corrispondenti alle corde a vuoto di entrambe le chitarre, a cui si aggiungono inizialmente quelle del pianoforte (suonate nella cordiera) e successivamente quelle del violino, viola e violoncello. Nonostante la sua delicatezza, in realtà è un movimento costruito con “materiali grezzi”. Al suono delle corde vuote, se ne contrappongono altri ottenuti suonando con l’altra mano dietro al “capotasto”; si sommano anche gesti rapidi di mani sul vibrafono. Verso la fine di questo movimento appare un passaggio che allude alla “naturaleza visibile” del materiale: a eccezione del pianoforte e delle due chitarre, ognuno degli strumentisti suona un bicchiere di cristallo. In questo movimento i due solisti si spostano dietro l’ensemble, creando così un effetto di lontananza che costituisce un piano su cui le azioni degli altri interpreti aggiungono delle “increspature”.
Il terzo movimento presenta un’esplorazione dei materiali legati a Scriabin: durante il processo di lavoro ho infatti notato che alcune trasposizioni ed espansioni della trascrizione della risonanza del suono del cristallo, casualmente, si avvicinavano molto ad alcuni accordi presenti in Vers la flemme di Scriabin; ecco perché Docteur Mystique (d’après Vers la flamme de Scriabin) è il titolo del terzo movimento.
Tra i lavori di musica da camera che vedono la chitarra in ensemble, vi sono Espira I e II (2005) e Rosa Mutabile (2010), che vede la presenza di un trio ed un duo, come due ensemble diversi in colloquio tra loro.
In spagnolo il termine “espira” si riferisce alla linea curva di una spirale. Il titolo allude al fatto che talvolta la direzione di entrambi i movimenti tende a precipitare in una sorta di vortice all’interno del quale le figure musicali si condensano. Quando ho iniziato a lavorare a questo brano ricordo ancora che uno degli aspetti che più mi interessava esplorare era l’accostamento della chitarra al pianoforte, considerato difficile da gestire da molti compositori; la loro sonorità si completa con la presenza di un violino e un violoncello.
Rosa mutabile ha un organico particolare: flauto, viola, chitarra, clarinetto basso e percussioni. Questi strumenti sono divisi in due piccole formazioni, perché scritta per due ensemble messicani che dovevano eseguirla al festival “Puentes” di Madrid: il Duo Duplum (clarinetto e percussioni) e l’Ensemble Espiral di cui ho scelto un trio: flauto, chitarra e viola (il cui chitarrista era il messicano Pablo Gómez Cano). Si tratta di un ciclo che si articola in quattro brevi movimenti. L’idea mi è venuta dopo aver letto una poesia contenuta nel meraviglioso dramma di Federico García Lorca, Doña Rosita la soltera o el lenguaje de las flores, dove lo scrittore si riferisce alle quattro fasi di un fiore creato dallo zio di Rosita: una rosa che vive un solo giorno e cambia il suo stato in base alle naturali variazioni dell’intensità della luce solare o alla sua completa assenza.
Le immagini poetiche descritte da Lorca possono essere così riassunte: 1. apertura al mattino (rosso come il sangue); 2. apertura massima a mezzogiorno (splendente e dura come il corallo); 3. al tramonto, mentre gli uccellini cantano e la sera “svanisce nelle viole del mare”, diventa bianca; 4. nella notte svanisce gradualmente, man mano che le stelle avanzano, i venti calano e la notte suona il suo “corno di metallo bianco”.
Il fatto che fossero due ensemble a suonarla si sposava benissimo con la ricerca sull’uso dello spazio (che continuo a sviluppare ancora oggi): dialoghi, opposizioni e sovrapposizioni spaziali si susseguono nell’arco dei quattro movimenti.
Da diversi anni vivi in Europa e qui è avvenuta parte della tua formazione musicale. Come giudichi il panorama della musica contemporanea qui e in Messico?
Il panorama della musica contemporanea in Europa è effervescente e molto stimolante. Ci sono molti compositori e musicisti che amano la musica d’avanguardia e fanno circolare idee nuove da un paese all’altro in maniera meravigliosamente attiva. Purtroppo da tempo le risorse destinate alla musica nuova vengono progressivamente ridotte da una politica ottusa, poco lungimirante e senza ideali.
Credo sia necessario che chi ha la responsabilità della direzione artistica di festival, chi gestisce istituzioni e importanti enti musicali abbia più coraggio e coscienza del fatto che la paura del nuovo è frutto soltanto di ignoranza e conservatorismo. Questo conduce, nel migliore dei casi, a imporre mode inconsistenti e, nel peggiore, a programmare opere composte mezzo secolo fa. Bisogna cercare di scoprire il nuovo.
In Messico il panorama è molto cambiato rispetto al periodo in cui ero uno studente e devo dire che ci sono stati molti anni in cui l’investimento di risorse, non solo nella musica contemporanea ma in tutta la musica, è stato costante e straordinario; questo ha prodotto risultati notevoli che purtroppo, negli ultimi quattro anni, da quando è cambiata la direzione di quasi tutte le istituzioni culturali più importanti del paese, si stanno dissolvendo rapidamente, anche se ci sono molti musicisti e compositori che continuano a essere molto attivi non solo a livello locale.
Hai insegnato negli anni al conservatorio di Alessandria, Parma, Milano. Come ti vedi in qualità di docente e quanto è importante questa attività per il tuo essere musicista?
La docenza costituisce per me una seconda vocazione e non si limita alle istituzioni per cui lavoro, dato che spesso sono invitato a impartire masterclass e conferenze all’estero in contesti di prestigio. Credo che si possa essere bravi docenti solo esercitando pienamente e ad alto livello il mestiere che si pretende insegnare.
Uscito originariamente su Guitart n. 108